Il mio
intervento risponde solo in piccola parte al titolo, per almeno due
ragioni. Gli incontri e i contatti tra la Commissione RICA e il Gruppo
di lavoro IAML sulla catalogazione sono stati estremamente ricchi di
spunti di lavoro interessanti, che restano però ancora da
sistematizzare. Inoltre, non ho titolo a rappresentare ufficialmente la
Commissione e il suo lavoro non è arrivato, in questo campo, a
posizioni comuni e ben definite che si possano riportare in un
intervento "ufficiale".
Ho accettato però con
molto piacere (e forse con una certa superficialità) questo invito, per
una ragione molto semplice: nell'ambito della musica si incontrano
problematiche catalografiche complesse, ma anche molto stimolanti, e
fra i bibliotecari musicali, anche se non sono molto numerosi, la
competenza e l'interesse per questo campo sono davvero notevoli. Credo
perciò che il dialogo tra specialisti di catalogazione musicale e
persone che, come me, si occupano di principi di catalogazione e di
didattica, possa essere estremamente fruttuoso per entrambe le parti.
Questo dialogo,
secondo me, dovrebbe essere basato su un unico e semplicissimo
principio. Per me è ormai una specie un articolo di fede, ma credo che
possa essere, se non proprio dimostrato, ampiamente argomentato e
sostenuto. Il principio è il seguente: buoni principi di catalogazione,
e buone norme, devono riflettere in maniera adeguata la realtà
sottostante, culturale ed editoriale, con quelle semplificazioni che
possono essere necessarie in un sistema che risponde ad esigenze
pratiche e di normalizzazione, ma senza mai tradire la sostanza
(culturale e storica) dei fenomeni che il catalogo deve rappresentare.
Di conseguenza, le
problematiche più complesse, come molte di quelle che si incontrano in
ambito musicale (per il titolo uniforme, per la distinzione di edizioni
e tirature, ecc.), costituiscono non dei "problemi", inconvenienti che
si cerca di mettere in un canto o di risolvere con qualche trucchetto
ad hoc, ma temi che andrebbero analizzati più a fondo. Così succede, o
dovrebbe succedere, in ogni campo scientifico. Le problematiche più
complesse dovrebbero essere prese come campo di sperimentazione, come
test, per verificare la qualità, la tenuta, di un modello o schema
catalografico.
Secondo un principio
comune alla filosofia e metodologia della scienza, un modello che
sappia riflettere efficacemente situazioni complesse saprà
rappresentare anche quelle più semplici e va considerato superiore
(anche se non definitivamente) ad un modello che non riesca a
rappresentarle. Se un buon modello è un modello che riesce facilmente a
rappresentare anche una situazione complessa, o mai analizzata in
precedenza, al contrario è un cattivo modello quello che, sottoposto al
test di una situazione nuova e non banale, si rivela incapace di
rappresentarla e di trattarla, se non con espedienti di fortuna.
D'altra parte, chi si
occupa di catalogazione dovrebbe sempre ricordare il vecchio
avvertimento di Seymour Lubetzky (e, in Italia, di Diego Maltese),
secondo il quale, di contro all'estrema varietà della casistica e ai
suoi mutamenti a volte rapidi e imprevisti, poche sono invece le
condizioni bibliografiche di base, che si ripresentano, nella stessa
forma o in veste molto simile, in campi diversi e a distanza di tempo.
In effetti, appena ci
si guarda intorno con attenzione e ci si accosta alle problematiche
specifiche di più campi della catalogazione e dell'indicizzazione, si
incontrano situazioni strettamente affini, se non identiche, a quelle
che a prima vista possono apparire come problematiche squisitamente
limitate alla catalogazione della musica.
Quando è così, un
ovvio principio metodologico vuole che si cerchino soluzioni comuni,
basate su principi comuni, sia per le norme generali che per quelle
relative a una particolare categoria di materiali. Più precisamente, le
norme generali di catalogazione dovrebbero essere impostate in maniera
da potersi applicare in maniera funzionale e diretta anche a
problematiche speciali, e le indicazioni per problematiche speciali
(p.es. in una normativa specifica per la catalogazione della musica)
dovrebbero guidare all'applicazione dei principi generali nel campo
particolare, piuttosto che contraddire i principi generali stessi o,
cosa che succede anche più spesso, ignorarli o "reinventarli", in
maniera che rischia di essere estemporanea e non adeguatamente
approfondita.
Una delle questioni di base che ha
maggior peso per la catalogazione musicale è quella dell'individuazione
e della registrazione dell'opera e dell'espressione, con la
problematica conseguente dei titoli uniformi. In quest'ambito, il caso
della musica a mio parere ha mostrato molto bene gli aspetti ancora
insoddisfacenti del modello FRBR, come è stato rilevato p.es. nel
documento del Gruppo di studio sulla catalogazione dell'AIB (Osservazioni
su
Functional
requirements for bibliographic records: final report,
"Bollettino AIB", 39 (1999), n. 3, p. 303-311, disponibile anche in
"AIB-WEB" a http://www.aib.it/aib/commiss/catal/frbrit.htm).
Ma questa
insoddisfazione non dipende dalle peculiarità del materiale musicale.
La rigida distinzione fra opera, espressione, manifestazione ed
esemplare viene messa altrettanto in crisi, p.es., se proviamo ad
applicarla al libro antico, per il quale è normale - come si sa o
almeno si dovrebbe sapere - che gli esemplari di una stessa edizione
(manifestazione) contengano varianti, spesso ma non sempre "piccole",
di contenuto e non di forma (ammesso e non concesso che le due
dimensioni si possano separare). O i diversi esemplari vengono
considerati espressioni diverse, o la definizione di espressione,
basata sull'identità testuale, deve essere riconsiderata.
La distinzione tra
contenuto (testuale) e forma (grafica), centrale in FRBR, non può
essere certo ammessa senza riflessione. Gli studiosi di storia del
libro e dell'editoria, o di bibliografia analitica, sono oggi unanimi
nel ritenere che forma e contenuto di una pubblicazione (a stampa o
d'altro genere) non si possano dissociare in maniera astratta. Secondo
la formula di Don McKenzie, il grande bibliografo scomparso qualche
anno fa, "form effects meaning": le forme realizzano, ma al tempo
stesso determinano, i contenuti.
Non è nemmeno vero,
come si potrebbe essere tentati di sostenere, che il modello FRBR
mostri la sua insufficienza solo in settori di catalogazione in qualche
modo "speciale": provate semplicemente a domandarvi come sia
rappresentabile, attualmente, un insieme di pubblicazioni a stampa
sostanzialmente tradizionali, ben note ai bibliotecari, ossia le
edizioni e traduzioni della Classificazione decimale Dewey. La 21a
edizione italiana non è, evidentemente, un'espressione di
un'espressione?
A mio avviso,
l'insufficienza principale del modello, che si manifesta in maniera
vistosa nella problematica dei titoli uniformi per la musica, è dovuta
a una specie di "errore ontologico", ossia, più semplicemente, alla
ricerca di un (inesistente) fondamento ontologico, sostanziale, nella
rete di relazioni che legano fra loro i prodotti delle attività
intellettuali ed editoriali.
Per inciso, vorrei
mettere sempre delle vistose virgolette intorno alla parola
"ontologia", oggi piuttosto di moda, perché le problematiche
ontologiche sono filosoficamente assai complesse, ed è sempre bene
guardarsi dall'usare parole di cui si ha soltanto un'idea vaga, ma non
se ne comprendono bene il significato e le implicazioni. L'"ontologia"
di FRBR, con i suoi quattro oggetti così imprecisamente definiti, mi
ricorda un po' i quattro elementi dei filosofi presocratici che
studiavamo al liceo: terra, acqua, aria, fuoco. Il mondo, come sappiamo
da tempo, è decisamente più complicato di così.
In attesa di un
Mendeleev che ci proponga risposte più convincenti, forse una linea di
ricerca più fruttuosa, a mio parere, sarebbe quella di non pensare di
essere di fronte a quattro entità di natura sostanzialmente diversa, ma
piuttosto a un sistema di classi, e soprattutto di "classi di classi",
che si costruisce (fallibilmente e forse anche approssimativamente) a
partire da un gran numero di oggetti materiali determinati. Il concetto
di "classi di classi", fra l'altro, è anch'esso un concetto piuttosto
complesso, pur se da tempo esplorato nella logica e nella teoria della
matematica, e meriterebbe di essere approfondito per un'eventuale
applicazione alle problematiche bibliografiche.
La bibliografia ha a
che fare, in linea di principio, con una produzione di esemplari "in
serie", e quindi con una distinzione di base (ma orientativa e da
assumere sempre in maniera vigile e critica) tra gli elementi
identificativi comuni ai diversi esemplari (che sono poi più o meno gli
elementi della descrizione bibliografica, ossia dell'edizione) e la
loro singolarità. La citazione bibliografica da parte degli studiosi e
la registrazione in bibliografie e cataloghi, così come la citazione
testuale moderna (con le sue virgolette e il riferimento a una certa
pagina di una data edizione), si fondano sul presupposto fondamentale
della fungibilità dei singoli esemplari. Lo studioso o il catalogatore
lavorano, di solito, su una singola copia, presupponendo che chiunque
se ne procuri un'altra (acquistandola, consultandola in biblioteca,
ecc.) vi trovi esattamente lo stesso testo, registrato nella stessa
forma. Sappiamo che non è sempre così, ma non possiamo rinunciare a
questo presupposto.
Questa distinzione di
base, però, va assunta in maniera critica, per vari motivi:
- vi sono forme di produzione al
confine fra seriale e non seriale (contaminazioni fra manoscritto e
stampato, interventi manuali ma eseguiti in serie sul libro antico, sul
libro illustrato o sulle stampe musicali, o procedure più complesse
della stampa ordinaria, p.es. l'uso dei timbri a secco per la musica o,
fra le nuove tecnologie, il print-on-demand),
- vi sono inoltre spesso, a ben
guardare, numerosi sottoinsiemi (e sottoinsiemi di sottoinsiemi)
all'interno di quella che possiamo considerare una stessa edizione:
tirature ed emissioni, ma anche lastrazioni (uno dei concetti
introdotti dalla bibliografia analitica per la produzione
otto-novecentesca), o assemblaggi e finiture differenziati di
pubblicazioni composite, e questi sottoinsiemi possono essere o non
essere dotati di propri contrassegni di identificazione (come, p.es.,
quelli delle ristampe).
Considerando attentamente
questi problemi, invece di ignorarli, per i paraocchi di una formazione
tecnicistica, o di cercare di nasconderli "sotto il tappeto", dovremmo
a mio parere riconsiderare la tradizionale ripartizione fra descrizione
bibliografica e dati d'esemplare (di copia, o di consistenza). Oggi
questa bipartizione troppo rigida ci costringe tra Scilla e Cariddi:
creare una nuova registrazione bibliografica per ogni insieme o
sottoinsieme di esemplari che abbia almeno un carattere di
differenziazione (data, consistenza, ecc.), ingorgando fastidiosamente
i nostri cataloghi soprattutto se collettivi, oppure rinunciare a
registrare queste caratteristiche differenti, con sicuri danni per gli
studiosi, o forzarle nella posizione non corretta e non funzionale dei
dati d'esemplare. Avremmo bisogno, invece, di formati bibliografici,
norme di descrizione e programmi di gestione dei dati catalografici che
consentissero di trattare "grappoli" di descrizioni con varianti,
ciascuna delle quali collegata ai rispettivi esemplari. Non abbiamo gli
strumenti per farlo, ma il concetto di per sé è tutt'altro che nuovo:
sono fatte così, p.es., le grandi bibliografie di incunaboli.
I problemi che
emergono riguardo ad esemplare ed edizione in una considerazione
attenta, non superficiale e coerente con le acquisizioni degli studi
bibliografici e di storia dell'editoria, si ripercuotono anche al
livello superiore, quello che nel modello FRBR è definito come
"espressione". In genere le discussioni sul modello FRBR si sono
concentrate su questa "nuova" entità, ma come spero di aver mostrato è
tutto il quadro delle entità del primo gruppo a dover essere
riconsiderato più attentamente, perché ogni entità è interdipendente
rispetto alle altre.
Quando dalla
manifestazione (pubblicazione o edizione) come prodotto editoriale,
spesso costituito da più sottoinsiemi o sottoinsiemi di sottoinsiemi,
passiamo al livello superiore, quello dell'espressione, non stiamo
quindi passando a un'identità testuale con variazioni di forma
materiale. Sarebbe bello e comodo, ma non è vero. Stiamo invece
passando da una fenomenologia editoriale complessa ma definita, che
possiamo affrontare con l'analisi materiale e registrare attraverso le
nostre norme di descrizione (magari migliorate a questo scopo), ad
insiemi di pubblicazioni affini, ma non uguali né per forma né per
contenuto (checché significhi questa distinzione). Questa affinità può
essere definita formalmente, o addirittura trasformata in una "entità",
l'espressione (con l'articolo determinativo)? Quali sono le differenze
sostanziali fra questa entità e quella di livello più alto, l'"opera"?
E come si collocano in questo quadro fenomeni di carattere intermedio,
come le famiglie di espressioni?
A mio parere, dovrebbe
essere abbastanza evidente che quando ci spostiamo dal livello della
manifestazione a quello dell'espressione e dell'opera lasciamo l'ambito
dell'analisi materiale delle testimonianze per entrare in quello
dell'organizzazione intellettuale delle conoscenze. Credere
all'esistenza di "entità" precostituite, o anche cercare di
"scoprirle", non ci aiuta: dovremmo piuttosto riflettere sui modi
migliori di organizzare le informazioni rispetto alle acquisizioni dei
saperi specializzati, che il catalogo non può ignorare o falsare, e
alle esigenze degli utenti, alle quali il catalogo deve servire.
Oggi, nel nostro
campo, si guarda a nuovi modelli e nuovi principi, ma i risultati
raggiunti finora sono insoddisfacenti, perché troppo legati al
confronto delle pratiche correnti, piuttosto che fondati
sull'approfondimento teorico e sul dialogo con le discipline che da
prospettive diverse affrontano problematiche e temi che ci riguardano.
Bisognerà cercare soluzioni nuove, che potranno al principio apparire
non familiari, come avviene normalmente nei progressi della conoscenza
umana, ma che siano davvero all'altezza dei passi avanti compiuti nel
secolo passato e dei livelli raggiunti oggi dalle altre branche del
sapere scientifico.
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© IAML Italia -
2004
ultimo aggiornamento: 29
novembre 2004